IL TRIBUNALE
   Nella  controversia  n.  8489/95,  in  materia  di   previdenza   e
 assistenza  obbligatoria,  promossa dall'I.N.P.S., Istituto nazionale
 per la previdenza sociale, con sede legale in Roma,  in  persona  del
 presidente   e   legale   rappresentante  pro-tempore,  elettivamente
 domiciliato in Genova, presso l'avv. Piero Capurso che lo rappresenta
 e difende per mandato generale alle liti del 7 ottobre 1993 a  rogito
 notaio dott. Franco Lupo di Roma, appellante;
   Contro Martelli Nella e Bruno Alice, domiciliate in Genova, via SS.
 Giacomo  e  Filippo, 19, presso lo studio dell'avv. Adolfo Biole, che
 le  rappresenta  e  difende  per  mandati  in  atti,  appellante,  ha
 pronunciato la seguente ordinanza;
   Con  ricorso  in  appello  depositato  l'11 luglio 1995, l'I.N.P.S.
 proponeva impugnazione contro la sentenza del pretore di  Genova  del
 25  febbraio-24  aprile  1995,  che  aveva  condannato  l'Istituto  a
 corrispondere alle odierne appellate l'integrazione al  minimo  sulle
 pensioni  di  reversibilita'  in  loro godimento anche per il periodo
 successivo al 30 settembre 1983, oltre accessori. L'I.N.P.S. motivava
 il proprio appello sostenendo:
     che  l'intera  materia  della   "cristallizzazione"   era   stata
 modificata  da  alcuni interventi normativi e giurisprudenziali (e in
 particolare dall'art. 11, comma 22 della legge 24 dicembre  1993,  n.
 537,   nel   testo   risultante   dalla   parziale   declaratoria  di
 illegittimita' costituzionale, di cui alla sentenza n. 240/1994 della
 Corte costituzionale), in ragione dei  quali  la  "cristallizzazione"
 stessa  non  poteva  considerarsi  dovuta  allorquando  il pensionato
 risulti  percettore  di  un  reddito  complessivamente  superiore  al
 livello di cui all'art. 6 della legge n. 638/1983;
     che  immediato  corollario  di  tale  principio era la necessita'
 dell'accertamento reddituale, sia con riferimento  al  1983  sia  per
 tutti  gli  anni  successivi  con riferimento ai quali si esplichi la
 pretesa di mantenimento della doppia integrazione;
     che, nella fattispecie, era del tutto mancato tale accertamento;
     che la sentenza era  erronea  anche  nella  parte  in  cui  aveva
 trascurato  l'applicabilita',  nella  fattispecie, della decadenza ex
 art. 6 della legge n. 166/1991.
   Chiedeva, quindi, riformarsi la sentenza impugnata nella  parte  in
 cui  riconosceva  che  il  diritto  alla cristallizzazione era dovuto
 nonostante la mancanza di accertamento del requisito reddituale o, in
 via  di  stretto  subordine,  dichiarare   l'estinzione   dei   ratei
 precedenti  la  domanda  giudiziale  -  e  relativi  accessori  - per
 intervenuta decadenza.
   Si costituiva parte appellata, chiedendo la conferma dell'appellata
 decisione.
   Nelle more del giudizio veniva emanato il d.-l. 28 marzo  1996,  n.
 166,  in  seguito  non  convertito  ma  ripetutamente reiterato senza
 sostanziali modifiche da una serie di ulteriori decreti, gli  effetti
 dei  quali  venivano  fatti salvi dall'art. 1, comma 6 della legge n.
 608/1996 e le  disposizioni  dei  quali  venivano  recepite  in  modo
 sostanzialmente  identico  dai  commi  181,  182 e 183 della legge 23
 dicembre 1996, n.  662, "Misure di  razionalizzazione  della  finanza
 pubblica".
   Su  tali  norme  si  addensavano  numerosi  dubbi  di  legittimita'
 costituzionale, dei quali alcuni giudici di merito e la stessa  Corte
 di cassazione investivano il giudice costituzionale.
   Con  ordinanza  n.  31 del 1999, peraltro, la Corte costituzionale,
 visite le modifiche della suddetta situazione  normativa,  introdotte
 dalla   legge   n.  448/1998  (Misure  di  finanza  pubblica  per  la
 stabilizzazione e lo sviluppo), ordinava la restituzione  degli  atti
 alle autorita' giudiziarie remittenti per una nuova valutazione della
 rilevanza della questione.
   Il  tribunale, analizzate le innovazioni legislative di cui sopra e
 dato atto del superamento di alcune delle questioni, gia'  sottoposte
 al   vaglio  del  giudice  delle  leggi,  e  viste  le  eccezioni  di
 incostituzionalita'  sollevate  da   parte   appellata,   rileva   la
 permanenza  di  una  serie  di  dubbi di legittimita' costituzionale,
 dubbi che di seguito si riassumono,  con  l'indicazione  delle  norme
 costituzionali   che  si  ritengono  violate  e  dei  motivi  che  ne
 sorreggono una valutazione di non manifesta infondatezza.
   Quanto all'art. 1, comma 181, legge 23 dicembre 1996, n. 662,  come
 modificato  dall'art.  3-bis  del    d.-l.  28  marzo  1997,  n.  79,
 convertito in legge 28 maggio 1997, n. 140:
     contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., nella parte in cui  prevede
 la soddisfazione degli aventi diritto in sei annualita'.
   Tale  disposizione  -  non toccata dalle innovazioni della legge n.
 448/1998 - sottopone i crediti di cui  e'  causa  ad  un  trattamento
 risarcitorio che appare deteriore rispetto a quello previsto per ogni
 altro    credito   e   cancella   parte   del   credito   conseguente
 all'inadempimento ascrivibile all'Istituto di previdenza.
   Infatti, pur considerati i giudizi espressi  nella  sentenza  della
 Corte  costituzionale  31  marzo  1995, n. 103, sussistono seri dubbi
 sulla adeguatezza e sufficiente tempestivita della risposta data  dal
 legislatore  ai  diritti derivanti ai ricorrenti dalle sentenze della
 Corte costituzionale n. 498/1993 e 240/1994, anche sotto  il  profilo
 dell'eta'  avanzata  dei  pensionati, per cui la rateizzazione in sei
 annualita' di somme aventi titolo risalente sino al 1983  rischia  di
 privarli di fatto del proprio diritto.
   La  norma  realizza,  altresi',  una  disparita' di trattamento dei
 pensionati,  dalla  medesima  interessati,  rispetto  alla  categoria
 generale dei creditori, ai quali il codice civile assegna la facolta'
 di  esigere  immediatamente l'adempimento dell'obbligazione nella sua
 interezza, laddove questa sola  categoria  di  pensionati,  creditori
 dell'I.N.P.S.  e gia' destinatari di una pensiione decurtata al 60% -
 rispetto  alla  pensione  diretta  -, vedono dilazionata nel tempo la
 soddisfazione del loro credito.
   Quanto all'art.  38  Cost.,  appare  violato  il  diritto  a  mezzi
 adeguati  alle  esigenze  di  vita,  stante  il  soddisfacimento solo
 parziale di  un  credito,  gia'  ridotto  all'essenziale  dall'essere
 rapportato al 60% di una pensione integrata al minimo.
   Quanto  all'art. 1, comma 182, legge 23 dicembre 1996, n. 662, come
 modificato dall'art. 36, comma 1, legge 23 dicembre 1998, n. 448:
     contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., nella parte in cui  prevede
 che   "sugli  arretrati  maturati  al  31  dicembre  1995  e'  dovuta
 esclusivamente una somma pari al  5%  dell'importo  maturato  a  tale
 data".
   Anche  sotto questo profilo, la legge sottopone i crediti di cui e'
 causa ad  un  trattamento  risarcitorio  che  appare,  sotto  diversi
 profili,  deteriore rispetto a quello previsto per ogni altro credito
 e  cancella   parte   del   credito   conseguente   all'inadempimento
 ascrivibile   all'Istituto   di   previdenza.  Infatti,  la  modifica
 introdotta, statuendo una "maggiorazione" del 5% sull'intero  credito
 maturato  sino al 31 dicembre 1995 sembra attribuire tale percentuale
 ominicomprensiva in sostituzione  degli  accessori  che,  secondo  la
 disciplina  ordinaria  -  anche dei crediti previdenziali - sarebbero
 maturati annualmente in favore del creditore.
   Quand'anche poi si volesse accedere ad una diversa interpretazione,
 ritenendo la  maggiorazione  del  5%  stabilita  in  ragione  d'anno,
 permarrebbe   una   disparita'   di  trattamento  rispetto  a  quello
 ordinariamente  riservato  ai   crediti   previdenziali,   disparita'
 rappresentata,  per  tutto il periodo anteriore all'entrata in vigore
 dell'art. 16 della legge n. 412/1991, nella privazione del cumulo  di
 interessi  e  rivalutazione  conseguente  alla  sentenza  della Corte
 costituzionale n.  156/1991  e,  per  il  periodo  successivo,  nella
 riduzione del saggio legale degli interessi al 5%.
   Si  sottolinea  comunque  che  tale  interpretazione,  benche' piu'
 favorevole ai creditori, sembra urtare  contro  il  tenore  letterale
 della disposizione.
   Quanto  all'art.  1,  comma  183, legge 23 dicembre 1996, n. 662, e
 all'art. 36, comma 5 della legge 23 dicembre 1998, n. 448:
     contrasto con gli artt. 3, 24 e  25,  primo  comma  Cost.,  nella
 parte in cui prevedono l'estinzione d'ufficio con compensazione delle
 spese  dei  giudizi  pendenti  alla  data  di entrata in vigore delle
 rispettive leggi e privano di effetto i provvedimenti giudiziari  non
 ancora passati in giudicato.
   La  disposizione  vanifica il diritto alla tutela giurisdizionale e
 preclude l'esame di tutte le numerose eccezioni preliminari  avanzate
 dall'Ente  convenuto  (prescrizione,  decadenza  ex  art. 6, legge n.
 166/1991, estinzione dell'obbligazione per  intervenuto  adempimento,
 carenza di reddito ecc.), eccezioni che l'Ente potrebbe riproporre in
 sede   amministrativa  al  pensionato,  privato  cosi'  della  tutela
 giurisdizionale  e  non  garantito  del  soddisfacimento  delle   sue
 aspettative.
   D'altra  parte,  non  appare  affatto scontato che questo risultato
 possa dirsi giustificato dalla idoneita' della normativa sopravvenuta
 a soddisfare le  ragioni  degli  aventi  diritto,  fatte  valere  nei
 giudizi  per  i  quali e' imposta dalla legge l'estinzione, in misura
 tale da poter dire arricchito l'ambito delle situazioni giuridiche di
 cui  sono  titolari  gli  interessati;  il  dubbio,  in   tal   senso
 manifestato  dal pretore di Brescia nell'ordinanza di rimessione alla
 Corte  costituzionale  del  17  dicembre  1998,  pare   al   collegio
 riferibile  anche alla nuova situazione normativa che, pur eliminando
 la  totale   esclusione   degli   accessori   dalla   quantificazione
 dell'importo  maturato  al 31 dicembre 1995 - gia' prevista dall'art.
 1, comma 182 della legge n. 662/1996  -,  decurta  comunque  in  modo
 considerevole questa voce della loro posizione creditoria, come sopra
 osservato.
   Ne'  puo'  sostenersi  che la violazione del diritto di azione e di
 difesa  sia  esclusa  dalla  possibilita'  per  il  pensionato,   che
 verifichi   la   propria  esclusione  dagli  elenchi  per  una  delle
 eccezioni, la cui  delibazione  e'  oggi  sottratta  al  giudice,  di
 proporre  in futuro nuova azione: non solo la garanzia costituzionale
 opera, infatti, con riguardo a ciascun provvedimento e ad ogni  stato
 e  grado dello stesso (senza contare l'onerosita' di nuove iniziative
 giudiziali  e  il  rischio  di  incorrere  in  nuove  preclusioni   e
 decadenze,  anche  per  eventuale  ius  superveniens),  ma deve anche
 considerarsi l'inidoneita'  di  un  nuovo  e  successivo  ricorso  ad
 escludere  la  decadenza  prevista  dall'art.   47, secondo comma del
 d.P.R. n. 639/1970 e decorrente dall'originaria domanda.
   Coma evidenziato da Cass., ordinanza 24 maggio 1996, e' violato  il
 diritto   di   agire  in  virtu'  della  norma  rivisitata  da  Corte
 costituzionale,  n.  495/1993,  sentenza  che,  lungi   dall'apparire
 attuata, sembra esclusa ed aggirata:
     contrasto della stessa previsione con gli artt. 102 e 113 Cost.
   La  previsione di automatica estinzione di tutti i giudizi pendenti
 realizza un'illegittima interferenza  del  potere  legislativo  nella
 sfera  di attribuzioni del potere giurisdizionale; ne' puo' ritenersi
 che  l'estinzione  a  spese  compensate  dei  giudizi  pendenti   sia
 paragonabile  nella  sua sostanza ad una sentenza di cessazione della
 materia del contendere (come si e'  affermato  in  precedenti  simili
 ipotesi),  giacche', alla luce delle considerazioni sopra svolte, non
 si puo' ravvisare nella soluzione un vantaggio tale da far  presumere
 in  linea  di  fatto  soddisfatti  i  diritti  dedotti nelle cause da
 estinguere.
   La compressione del diritto di azione  e  di  difesa  e  l'indebita
 ingerenza  nell'esercizio  della  funzione  giurisdizionale ingerenza
 nell'esercizio della funzione giurisdizionale  si  evidenziano  anche
 sotto il profilo della compensazione delle spese di giudizio, che, da
 un  lato,  sottrae  al  giudizio  tale  componente  accessoria  della
 controversia e, dall'altro, sopprime il diritto del pensionato, anche
 per il caso di sussistenza del diritto e di fondatezza della domanda,
 a vedersi tenuto indenne dalle spese processuali sostenute.
   La compensazione ex lege delle spese processuali produce, altresi',
 l'ulteriore effetto di condurre alla perdita, delle somme  anticipate
 e   degli   onorari   dovuti   agli  avvocati  che,  per  consolidata
 consuetudine, trattano gratuitamente le controversie dei clienti loro
 avviati dai patronati.
   Rilevato  che  tutte  le  questioni  sopra  prospettate  presentano
 profili  di  rilevanza nel presente giudizio ritiene il tribunale che
 il giudizio debba essere sospeso, con  immediata  trasmissione  degli
 atti alla Corte costituzionale, a cura della Cancelleria.